Preparazione ai test di ingegneria.

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Marcello Avoni
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Iscritto il: 11 luglio 2019, 14:16

Re: Preparazione ai test di ingegneria.

Messaggio da Marcello Avoni »

Salve,

riapro il topic dopo un po' di silenzio perché mi sembrava sensato mettere in ordine le incombenze e preoccuparmi dell'orale solo una volta certo di aver passato lo scritto. :-D

Ieri ho provato a cimentarmi nel problema del mobile da spingere/tirare nella speranza di cavarci qualcosa di nuovo, ma non ho ottenuto grandi risultati. Dalle parole di Apollonio deduco che la modellizzazione più adatta del quesito sia quella che tratta il mobile come un corpo elastico, e per mia ignoranza non ho molta dimestichezza con questo genere di problemi.
Ho immaginato un mobile di profilo rettangolare che subisce l'azione di una forza parallela al terreno (di spinta o di traino) ammettendo che si deformasse esclusivamente in corrispondenza degli spigoli (trasformando quindi il suo profilo in quello di un parallelogramma a causa della forza). Con questo modello non sono riuscito a trovare sostanziali differenze tra la spinta e il traino, dove sbaglio?
per giustificare il mio ragionamento: la scelta della deformazione agli spigoli è motivata dal fatto che il problema impone che la base del mobile sia pienamente a contatto col terreno, e quindi sono portato (forse erroneamente) a credere che si debba escludere una qualsiasi elasticità delle superfici del mobile (ad esempio, se la base del mobile potesse flettersi, si "arriccerebbe" e non sarebbe più a pieno contatto col pavimento)
Non escludo che la mia incapacità di risolvere il problema sia legata anche a qualche concetto di teoria che riguarda l'attrito e di cui sono all'oscuro... è sbagliato usare la classica formula F(attrito)= u*F(perpendicolare)? (dove u sta per coeff. di attrito dinamico)

Grazie in anticipo, oggi provo a affrontare il problema del foglio A4.

Apollonio
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Re: Preparazione ai test di ingegneria.

Messaggio da Apollonio »

Ciao Marcello,

L’idea di modellizzare il mobile come parallelepipedo è buona, infatti qualitativamente il problema è indipendente dalla forma (diciamo entro limiti piuttosto ampi). Purtroppo questo non ti aiuta granché in questo caso, soprattutto per eventuali considerazioni quantitative (del tipo, di quanto potrebbe diminuire lo spessore dell’armadio per usura dopo un trascinamento di un km?). Tuttavia in generale l’idea di risolvere un caso specifico e poi dire che la tesi vale anche in ipotesi più deboli è molto sagace. Un esempio abbastanza banale di questo fatto è dimostrare che il baricentro di un triangolo divide le mediane in parti che sono l’una il doppio dell’altra. Un modo particolarmente semplice ed elegante di farlo è dimostrare che vale per i triangoli equilateri e poi dire che un generico triangolo è sempre ottenibile per trasformazione affine di un triangolo equilatero. In questo modo, sfruttando la proprietà delle affinità di lasciare invariate le proporzioni tra segmenti, si ha la tesi generale. Ma torniamo al mobile...
L’idea di modellizzare il contatto come puntiforme sui vertici è invece una ottima idea in quanto la semplificazione analitica è estrema e l’andamento qualitativo non cambia in maniera significativa. Volendo si può anche modellizzare il problema come piano, con il mobile rettangolare e due molle che toccano terra nei vertici in basso. Ti perderesti la possibilità di considerare una forza che abbia una terza componente ma non sarebbe poi così grave. Una volta che hai capito il nocciolo della questione col modello 2D non sarebbe difficile generalizzare al caso tridimensionale con 4 molle sui vertici inferiori.
Quanto appena detto vale SOLO assumendo una condizione di equilibrio dinamico(!). Una soluzione per molti versi più ottimale invece prevede di considerare anche l’attrito statico e una forza con un punto di applicazione variabile nel tempo (alternando due configurazioni). In questo caso il modello 2D non ti porta a niente e anche modellizzare il contatto solo sui vertici inizia ad avere qualche frizione con la realtà fisica del problema, molto meglio una cerniera e due molle su due vertici. Ma prima risolvi pure il caso di equilibrio dinamico che è più semplice...

La tua ingenuità, più che sbaglio, è stata di considerare una forza con direzione e punto di applicazione assegnati. Te l’ho già detto: devi pensare di essere lì con questo mobile da spostare di fronte a te che ti guarda fisso negli occhi. Pensa a dove applicheresti e con quale direzione una forza unitaria. Per rendere il tutto più realistico potresti immaginare di avvitare una vite con un occhiello al mobile in cui fai passare una corda che poi tiri. Se proprio volessimo fare una svolazzava nell’empireo, ma poi ci si perde, potremmo anche parlare dei nodi con cui legare la corda a te e all’occhiello, ma immagina che ci sia un operaio specializzato che ti assiste e si occupa lui di questo (ad ogni modo io mi legherei la corda addosso come uno zaino, con una doppia gassa d’amante, mentre all’occhiello la puoi legare anche abbastanza a caso, ma una gassa d’amante non guasta mai).
Inoltre, una SUCCESSIVA considerazione che potrebbe essere fatta riguarda la relazione tra effettiva intensità della forza applicabile per un dato punto di applicazione e per una direzione. Infatti ergonomicamente non tutti i casi sarebbero uguali, ma soprattutto se supponi di tenere fermi i piedi sfruttando il tuo peso e l’attito col pavimento hai dei limiti (non puoi tirare la fune verso il basso con un tiro maggiore del tuo peso, né tirarla orizzontalmente con un tiro maggiore del tuo peso moltiplicato per il coefficiente d’attrito).
Dopo tutti questi suggerimenti spero sia quasi evidente la soluzione...

Magari vai a vedere cos’è il fenomeno dell’impuntamento e cosa asserisce l’ipotesi di Reye, anche se presumibilmente non ti serviranno per l’orale.

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